#pennyday

Quando si vince è tutto più facile: la fatica si sente un po’ di più, ma ci passi sopra perché comunque sei leggero; l’atmosfera è più tranquilla, e oggi è pure il compleanno di Penny.

Continuiamo a dirle che questa giornata è stata organizzata su misura per lei, che nulla è “per caso”. Dopotutto anche a noi, a volte, serve credere in qualcosa, così c’inventiamo il #pennyday, che non serve solo a festeggiare una nostra compagna, ma anche e soprattutto a farci passare il tempo.

La giornata inizia con un allenamento alle 11:00, leggero e necessario per iniziare a preparare la prossima di Eurolega, ma non è mai facile entrare in palestra la mattina dopo una partita: la notte si fatica a prender sonno a un orario decente, quindi, vuoi o non vuoi, un po’ di stanchezza c’è sempre. Arriviamo in palestra ma non vediamo luci accese. Tutte, chi silenziosamente e chi non, preghiamo nella vana speranza che si siano dimenticati di aprirci la palestra. Aspettiamo a scendere dal pullman, fiduciose che non ci aprirà nessuno, quindi tanto vale non fare la fatica di alzarsi. Ma dopo un secondo si apre la porta. La preghiere si trasformano in un brusio di dissenso. 

Ma alla fine in un’ora e venti abbiamo finito e siamo già di ritorno in hotel. 

Un ritorno che si trasforma in un mini rave, con un party bus che si riempie di cori di auguri, canzoni urlate, e l’inizio vero e proprio del #pennyday. Penny non è molto entusiasta, diciamo che non è l’incarnazione di colei a cui piace essere al centro dell’attenzione. Noi lo sappiamo, per quello lo facciamo.

Doccia veloce. Si lanciano le cose in valigia alla “meno peggio”. La cerniera fa uno strano scricchiolio, e decido di piazzarci un ginocchio sopra per aiutare la compressione. Funziona. Quando dovrò aprirla a Parigi, esploderà.

Ore 13:00 pranzo. Oggi mangiamo qualcosa di diverso…ah no. Pasta in bianco, qualcuno al pomodoro, e il solito pollo. Alla fine di questi cinque giorni metà di noi avranno le ali, e l’altra metà le branchie. A tavola si ride, si dicono minchiate, Best perde il controllo e comincia a piangere…ma non posso dire cosa l’ha fatta ridere a tal punto.

Ci stiamo per alzare quando entra Paolo con tre torte: una senza lattosio – glutine – e senza su mà, servita su un piatto riempito di aria. La mangerà Penny. Le altre due sono teglie piene di tiramisù: una e mezza per Petros, quello che resta da dividere in 20. Mangiamo una particola di tiramisù a testa. Petros in un secondo e mezzo ha già finito una teglia.

Alle 15:00 il pullman incredibilmente parte. Nessuno è in ritardo. Non si capisce il perché, e la cosa preoccupa un po’. Sentiamo uno strano rumore, è il coach che prende in mano il microfono e inizia -senza preavviso- a cantare “Sapore di sale”. La gente comincia a guardarsi esterrefatta, qualcuno si tappa le orecchie, panico generale. Spegne il microfono, tempo 3 secondi, due stories fatte per il #pennyday, e tutti crollano in un sonno profondo. Non vola una mosca, finché dopo un tempo imprecisato, il microfono torna nelle mani del coach che annuncia – semi urlando e svegliando tutti come una madre la mattina quando devi andare a scuola – un pit-stop di 5 minuti. Apro gli occhi e vedo Jas che, al buio, lavora all’uncinetto, e per un secondo mi chiedo se sto sognando o sta accadendo davvero. Il pullman sta rallentando, e allora mi rendo conto che no, non è un sogno, tutto ciò è realtà. Accanto al nostro bus parcheggia, per caso, un pullman del esercito: scendono 30 militari in divisa. Guardiamo Penny, e le sveliamo la sorpresa: sono qui per lei in realtà, pronti a fare il massimo per il famoso #pennyday. Non capisce se scherziamo o no, e tentenna ad uscire dal bus.

Alla fine qualcosa dev’essere andato storto perché non si sono esibiti…ci rifaremo dare i soldi.

Ma le risate non hanno prezzo.

Il cielo questa volta non ci regala tramonti incredibili, ma le montagne sono in controluce e sono talmente nere che sembrano incollate li.

Arriviamo in aeroporto con un largo anticipo. Il check-in è ancora chiuso. Ma proprio lì davanti c’è un negozio di souvenir: vedo Jas e Best lanciarsi senza indugio, e temo – giustamente – non tanto perché sono entrate lì, ma per il quando usciranno. Temo per Penny, ovviamente. Alla fine ci vanno leggero, con un cappellino del Napoli, un cornetto -che comunque fa bene a tutti, e un biglietto di auguri.

Penny sa, però, che il vero regalo è che oggi la porteremo a Parigi, in un fantastico Ibis Hotel accanto all’aeroporto dove potrà, per tutta la notte, godersi il rumore degli aerei, immaginando una Tour Eifel che potrà vedere solo nei suo sogni. Ma abbiamo anche pianificato una cena che al coach è costata la sua più profonda morale, concedendoci una pizza con la bufala che di solito ci vieta.

E Penny cosa fa? Mangia la carne.

Il volo è in ritardo. La pizza va giù che è un piacere, almeno fino a quando Paolo non comincia a fare battute che incastrano la mozzarella di bufala a metà tra la bocca e lo stomaco. Fortuna che c’è Ajsa che gioca, e possiamo guardarla in streaming: sembra una senior in mezzo al minibasket, e un po’ ci gasiamo per lei. Ogni tanto ci dimentichiamo che ha solo 17 anni.

Ormai sono quasi le 21:00, tra poco decolliamo, e arrivate a Parigi l’unica cosa che avremmo voglia di fare sarà di lanciarci sotto le coperte e dormire all’istante. Così, mentre attendo davanti alla porta d’imbarco, rifletto sulla giornata appena vissuta.

Ci sono mille cose in giorni come questo che rendono la vita di squadra una delle cose più belle che ci siano dello sport: la voglia di stare assieme, di far baldoria, di festeggiare il #pennyday mixato alla delicatezza del sapersi ognuno ritagliare il proprio spazio, il capire quando stare in silenzio, il provare a rilassarsi. Viviamo “mille” giorni così in una singola stagione, e posso assicurarvi che ognuno di questi è diverso dall’altro.

Forse la bellezza sta proprio in questo. Nel sapere che non è sempre bello, non è sempre musica a palla e risate. È la consapevolezza che nell’arco di un’annata ci sono apici, e ci sono baratri, e come vieni risucchiato dal buio in certi attimi, sai che devi anche saper godere della luce forte di altri istanti.

Perché questo “bello” va messo nello zaino. Perché un domani, davanti al “brutto”, devi sempre ricordarti di guardare il “tutto”.

E nel nostro “tutto” ci sarà sempre questo giorno.

Ci sarà sempre il #pennyday.

POST SCRIPTUM

Ore 23:02.

Stiamo sorvolando la Francia, quasi a destinazione. “È il capitano che parla…”. Purtroppo a destinazione la nebbia c’impedisce di atterrare dove dovremmo. Così ci ritroveremo dalla parte opposta di Parigi. Ora, veramente, la voglia d’imprecare si percepisce nell’aria. Però ridiamo. Dal fondo dell’aereo senti partire un “auguri Penny”. Cocca pensa che stiamo scherzando. Rhyan dice “non voglio sapere nulla”. Marina se ne frega e continua a dormire. A me bruciano gli occhi, e quel letto che sognavo un’ora e mezza fa purtroppo si fa attendere.

Aspettiamo quasi un’ora i bagagli e poi finalmente in pullman. Pullman un po’ strettino, ma va bene tutto purché si arrivi. Ad allietare il viaggio ci pensa Cocca, che tira fuori dal suo kit sopravvivenza le casse: spara CacaoMeravigliao ed è subito dance. Ma il tutto cala veloce quando sceglie “Ti scatteró una foto” di Tiziano Ferro.

Ora è davvero, davvero, davvero tempo di arrivare.

Domani ci aspetta un altro volo e un’altra ora e mezza di pullman per arrivare a Mont de Marsan.

Insomma, tutto sommato poteva andarci peggio. Avremmo potuto metterci tre giorni, invece che due, per arrivare a destinazione.

Qualcuno, dal fondo del pullman urla “Ad andare a New York si stava prima…”.

Effettivamente, non posso discordare.

L’importante, è arrivare.

Giorgia Sottana